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sabato 31 gennaio 2009

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Profeta, personaggio scomodo

La prima lettura e il vangelo si richiamano e si completano, così come la promessa esige il dono, e l’attesa invoca la venuta. Oggetto della promessa e dell’attesa è il grande profeta che Dio susciterà come un secondo Mosè.

La storia della salvezza è storia di Dio che parla con il suo popolo; in questa storia il profetismo appare come una delle linee di forza che percorrono tutta l’esistenza di Israele come popolo, e caratterizzano la sua esperienza religiosa fin dai tempi di Mosè.



Susciterò un profeta in mezzo a loro

Il profeta non è soltanto colui che predice o svela un evento futuro. Egli è prima di tutto un intermediario con l’Assoluto, portatore fedele della parola di Dio. Il profetismo s’innesta in questo contesto di bisogno della parola di Dio e si caratterizza come punto di incontro dell’uomo con la verità e la volontà di Dio. Molto spesso il profeta denuncia le mancanze che si commettono contro la Legge anche se c’è un’osservanza legale della lettera; egli lotta contro le vuote abitudini di un passato che viene confuso con le sue morte sopravvivenze. Egli condanna il culto esteriore e i sacrifici che nascondono l’ipocrisia e l’ingiustizia.

Il profeta è costituito da Dio «per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare» (Ger 1,10). Per questo il suo impatto con il popolo è più sovente uno scontro che un incontro.

La Legge era per l’ebreo luogo privilegiato d’incontro con la vo­lontà di Dio, ma portava con sé il rischio di un’osservanza letterale, giuridica, senza anima né cuore. L’incontro fra il profeta e il popolo di Dio avviene proprio sul terreno della Legge. Profetismo e Legge (istituzioni, tradizioni e culto) non esprimono due opzioni o due contenuti divergenti, si tratta di funzioni distinte, di settori che non sono tra loro isolati.

Ci sono anche dei falsi profeti (prima lettura), ci sono persone che si illudono di essere portatori della parola di Dio, quando sono solo eco di parole umane.

Gesù viene presentato nel vangelo non solo come colui che chiude storicamente la serie dei profeti antichi, ma come colui che porta a compimento le promesse, colui nel quale si svela e si realizza il progetto di Dio sull’umanità.

Egli non si limita come gli scribi e i farisei a ripetere e a ricordare la parola di Dio, egli « insegna come uno che ha autorità » e accompagna le sue parole con la potenza dei miracoli. La guarigione dell’indemoniato diventa segno profetico di una liberazione in atto, della venuta del regno di Dio, dell’inizio del nuovo popolo.



Profeti e comunità profetiche nella Chiesa

Esistono ancora oggi i profeti? Quale è il loro compito nella Chiesa? Con quali segni si presentano?

La visione della storia umana secondo la logica di Dio ci è data dalla parola che egli ha affidato alla comunità degli uomini. Tale parola non è sepolta in un libro, ma vive in una comunità; anzi costruisce la comunità e la comunità, rileggendo e attualizzando la parola, la arricchisce, l’approfondisce.



La denuncia profetica

La funzione del profeta è primariamente « critica ». La Chiesa come realtà umana è soggetta alla tentazione di adagiarsi sulle conquiste fatte, o sul rimpianto di equilibri perduti. La tentazione di dare ad istituzioni, ad espressioni religiose il carattere di definitività e assolutezza, è ad ogni passo del suo cammino. Ê facile ritenere acquisito per sempre ciò che è solo un momento della storia. La comunità cristiana ha bisogno di denuncia critica proprio quando ritiene di essere ormai testimonianza trasparente della comunione con Dio.

La denuncia profetica non è iniziativa della Chiesa ma dello Spirito Santo. I profeti si incontrano dove meno e quando meno li attendiamo. Lo Spirito suscita i profeti anche al di là dei confini sociologici della Chiesa. Ogni uomo, ogni comunità umana può diventare profezia.

Non esiste solo una profezia all’interno della Chiesa, ma la stessa comunità cristiana è « profezia » nei confronti di tutta la comunità umana: fonte di critica contro ogni assolutizzazione, o ideologia disumanizzante, o potere opprimente. Denuncia di razzismo, sfruttamento economico, mancanza di rispetto della vita. Tutto questo presuppone una comunità in verifica continua della sua fedeltà al messaggio, perché la sua profezia non sia alienante controtestimonianza.



Cristo ci ha chiamati al suo regno e alla sua gloria

Dalla «Lettera ai cristiani di Smirne» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire (Intr.; Capp. 1, 1 -4, 1 Funk 1, 235-237)
Ignazio, detto anche Teoforo, si rivolge alla chiesa di Dio e del diletto Figlio suo Gesù Cristo. A questa chiesa, che si trova a Smirne in Asia, augura di godere ogni bene nella purezza dello spirito e nella parola di Dio: essa ha ottenuto per divina misericordia ogni grazia, è piena di fede e di carità e nessun dono le manca. E' degna di Dio e feconda di santità.
Ringrazio Gesù Cristo Dio che vi ha resi così saggi. Ho visto infatti che siete fondati su una fede incrollabile, come se foste inchiodati, carne e spirito, alla croce del Signore Gesù Cristo, e che siete pieni di carità nel sangue di Cristo. Voi credete fermamente nel Signore nostro Gesù, credete che egli discende veramente «dalla stirpe» di Davide secondo la carne» (Rm 1, 3) ed è figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio; che nacque veramente da una vergine; che fu battezzata da Giovanni per adempiere ogni giustizia (cfr. Mt 3, 15); che fu veramente inchiodato in croce per noi nella carne sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode. Noi siamo infatti il frutto della sua croce e della sua beata passione. Avete ferma fede inoltre che con la sua risurrezione ha innalzato nei secoli il suo vessillo per riunire i suoi santi e i suoi fedeli, sia Giudei che Gentili, nell'unico corpo della sua Chiesa.
Egli ha sofferto la sua passione per noi, perché fossimo salvi; e ha sofferto realmente, come realmente ha risuscitato se stesso.
Io so e credo fermamente che anche dopo la risurrezione egli è nella sua carne. E quando si mostrò a Pietro e ai suoi compagni, disse loro: Toccatemi, palpatemi e vedete che non sono uno spirito senza corpo (cfr. Lc 24, 39). E subito lo toccarono e credettero alla realtà della sua carne e del suo spirito. Per questo disprezzarono la morte e trionfarono di essa. Dopo la sua risurrezione, poi, Cristo mangiò e bevve con loro proprio come un uomo in carne ed ossa, sebbene spiritualmente fosse unito al Padre.
Vi ricordo queste cose, o carissimi, quantunque sappia bene che voi vi gloriate della stessa fede mia.

sabato 24 gennaio 2009

III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Il tempo si è fatto breve

Il filo conduttore che lega e dà unità tematica alle tre letture di questa domenica è quello del tempo.

— « Ancora quaranta giorni... » (prima lettura).

— « Il tempo ormai si è fatto breve... » (seconda lettura).

— « Il tempo è compiuto... » (vangelo).



Dio nell’oggi dell’uomo

La Bibbia, rivelazione del Dio trascendente, si apre e si chiude con annotazioni temporali: «In principio Dio creò...» (Gn 1,1); «Sì, verrò presto» (Ap 22,20). In essa Dio non è colto in modo atemporale e astratto, nella sua essenza eterna, come presso i filosofi greci, ma nei suoi interventi nell’oggi dell’uomo, che fanno della storia del mondo una storia divina.

Nell’esperienza umana del tempo si sovrappongono due aspetti: quello regolato dai cicli della natura (tempo cosmico) e quello che è scandito dal fluire degli avvenimenti (tempo storico).

Il tempo storico nella mentalità dell’uomo biblico è ritmato dai grandi interventi di Dio nella storia, tanto che la storia del mondo diventa una storia della salvezza.

Questa storia sale faticosamente, attraverso tappe successive, verso Cristo che ne rappresenta il culmine e lo sbocco finale. Cristo ha coscienza di questo, quando all’inizio della sua predicazione dichiara espressamente: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino...» (vangelo). Con lui è giunta la «pienezza dei tempi». Egli introduce nella storia l’elemento definitivo e discriminante per cui possiamo dire: prima… ora.

«Prima eravate senza Cristo, ...estranei ai patti della promessa»(Ef 2,12). «Ora egli vi ha riconciliati per mezzo della morte del suo corpo di carne» (Col 1,22).

Con Gesù l’evento definitivo si è verificato, ma non ha ancora portato tutti i suoi frutti. Gli «ultimi tempi» sono soltanto inaugurati: a partire dalla sua risurrezione essi si dilatano e diventano «tempi della Chiesa». Ecco perché il regno di Dio ha contemporaneamente una dimensione attuale ed escatologica.

La conversione al vangelo di Gesù Cristo rappresenta per ogni uomo un mutamento di èra, un passaggio dal mondo presente al mondo futuro, dal tempo antico che va verso la rovina, al tempo nuovo che cammina verso la piena manifestazione.

L’importanza del «tempo della Chiesa » deriva dal fatto che esso rende possibile questo passaggio: è «il momento favorevole», il «giorno della salvezza» (2 Cor 6,2).



Il tempo di chi «non ha tempo»

La vittoria di Cristo sulla morte è superamento dei limiti del tempo e dello spazio. Cristo opera una demitizzazione del tempo contro le concezioni che avevano divinizzato, cosificato l’incessante e incontrollabile flusso delle stagioni. La vittoria sulla morte crea un tempo per l’uomo ed uno spazio per l’uomo: tempo e spazio di costruzione della propria identità e della identità di tutta la comunità umana.

Un «tempo per l’uomo» non è solo dono: deve essere anche conquista. Ma la ricerca di tempi di produzione sempre più brevi, l’impossibilità di fermarsi, la macchina sempre più veloce come simbolo di potenza, l’incapacità di controllare la corsa degli avvenimenti, la necessità di frenetico aggiornamento per non sentirsi superati da un giorno all’altro, possono essere sintomi di una nuova sottomissione dell’uomo al tempo. Una marcia all’indietro.



Il tempo mangia l’uomo

C’è chi è stanco per aver già troppo camminato, c’è chi si è trovato improvvisamente ai margini, quasi detrito inutile, c’è chi è stato sbalzato via dall’ingranaggio sociale: anziani, malati cronici, minorati, schizofrenici. La società tecnologica non ha tempo per loro, perché non servono al processo di produzione. Per costoro si costruiscono case di cura, ospedali, ricoveri per anziani.

L’importante è che non intralcino il cammino. Tempo di nausea e di malinconia per gli emarginati, per chi sa di essere un «peso». Desiderio dell’anziano di togliersi di mezzo o tentativi di convincimento da parte dei familiari che nella casa di cura «tutto è per lui»: rifiuto della società di farsi «comunità terapeutica» in cui il malato venga curato senza tagliarlo fuori dal tessuto sociale in cui vive.



Cristo è sempre presente nella sua Chiesa

Dalla Costituzione «Sacrosanctum Concilium» del Concilio ecumenico Vaticano II sulla sacra Liturgia (Nn. 7-8. 106)
Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e soprattutto nelle azioni liturgiche. E' presente nel Sacrificio della Messa tanto nella persona del ministro, «Egli che, offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso per il ministero dei sacerdoti», tanto, e in sommo grado, sotto le specie eucaristiche. E' presente con la sua virtù nei sacramenti, di modo che quando uno battezza è Cristo che battezza. E' presente nella sua parola, giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura. E' presente infine quando la Chiesa prega e canta i santi, lui che ha promesso: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, là sono io, in mezzo a loro» (Mt 18, 20).
In quest'opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale lo prega come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all'Eterno Padre.
Giustamente perciò la Liturgia è ritenuta come l'esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo; in essa, per mezzo di segni sensibili, viene significata e, in modo ad essi proprio, realizzata la santificazione dell'uomo, e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico e integrale.
Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo Corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun'altra azione della Chiesa, allo stesso titolo e allo stesso grado, ne uguaglia l'efficacia.
Nella Liturgia terrena noi partecipiamo, pregustandola, a quella celeste, che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini e dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo. Insieme con la moltitudine dei cori celesti cantiamo al Signore l'inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di condividere in qualche misura la loro condizione e aspettiamo, quale salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli apparirà, nostra vita, e noi appariremo con lui nella gloria.
Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente «giorno del Signore» o «domenica». In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all'Eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio che li «ha rigenerati nella speranza viva della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pt 1, 3). La domenica è dunque la festa primordiale che dev'essere proposta e inculcata alla pietà dei fedeli, in modo che risulti anche giorno di gioia e di riposo dal lavoro. Non le vengano anteposte altre celebrazioni, a meno che siamo di grandissima importanza, perché la domenica è il fondamento e il nucleo di tutto l'anno liturgico.

SAN FRANCESCO DI SALES

Dalla «Introduzione alla vita devota» di san Francesco di Sales, vescovo
(Parte 1, Cap. 3)

La devozione è possibile in ogni vocazione e professione
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall'artigiano, dal domestico dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta; bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l'artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L'ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l'unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l'amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
E' un errore, anzi un'eresia, voler escludere l'esercizio dalla devozione dell'ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E' vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.

sabato 17 gennaio 2009

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO




Seguire Gesù

Le scene di chiamata (Es 3; Is 6; Ger 1...) sono tra le pagine più vive della Bibbia. Ci rivelano Dio nella sua maestà e nel suo mistero, e l’uomo in tutta la sua verità: nella sua paura e generosità, nei suoi atteggiamenti di resistenza e accettazione...



Il piano di Dio

Ogni uomo, per il fatto stesso di essere al mondo, è in stato di «vocazione». Attraverso le vie misteriose degli eventi umani più ordinari e oscuri, Dio lo chiama all’esistenza per un suo particolare progetto di amore. La vocazione infatti, come l’esistenza, è sempre una chiamata personale. Dio non costruisce gli uomini in serie; non usa lo stampo: parla a ciascuno personalmente.

Scoprire la propria vocazione significa scoprire il progetto di vita che Dio ha su ciascuno di noi, perché l’iniziativa è sempre di Dio. «Parla, perché il tuo servo ti ascolta» (prima lettura). «Ecco, io vengo, Signore, per fare la tua volontà» (salmo responsoriale). Approfondire l’iniziativa preveniente di Dio porta con sé tutto un processo di interiorizzazione e di scoperta progressiva delle esigenze spirituali e morali della propria vocazione (seconda lettura).

Il binomio di «chiamata» e di «sequela Christi» rappresenta, d’altronde, una delle categorie fondamentali della vita cristiana, la cui struttura è chiaramente dialogica, fatta cioè di domanda e di risposta, di appelli che passano attraverso le vicende della vita e di risposte che si esprimono non solo in professioni di fede o in preghiera, ma in scelte di vita e in continua disponibilità del cuore. La categoria del dialogo esprime anche un’altra caratteristica fon­damentale della vita cristiana: la dinamicità. Il cristiano non è colui che ha in tasca la soluzione di tutti i problemi, che possiede come una specie, di assicurazione sulla vita di fronte agli interrogativi del presente e del futuro. Egli si sente, al contrario, come un uomo in ricerca, le cui certezze sono continuamente messe in questione dagli avvenimenti. E tuttavia il suo legame con Cristo fa di lui un ricercatore originale, perché il suo cammino in qualche modo è già stato tracciato e percorso, e la mèta è raggiungibile.


Camminare insieme

Anche se l’appello di Cristo si fa sentire come invito personale e si chiarisce nel cuore di una intimità sempre nuova e irripetibile, esso apre sempre la strada a una esperienza comunitaria.

L’incontro personale con Gesù suscita l’incontro personale e comunitario con tutti coloro che hanno fatto l’esperienza di questo incontro, e dà l’avvio alla costituzione di una comunità nella quale il vivere insieme e il « seguire » insieme Gesù diventa una caratteristica essenziale. Accanto alla vocazione personale c’è, quindi, la vocazione a far parte di un popolo che si chiama Chiesa: ekklesía, che vuoi dire appunto, la «convocata», la «eletta», la «chiamata».



« Vieni e seguimi »

Questo invito risuona oggi come venti secoli fa. Ma quali resistenze non solleva nell’uomo moderno? La parola «seguire» non richiama immediatamente un atteggiamento mediocre, di conformismo, di mancanza di fantasia, di creatività, di personalità? Si segue la moda, il partito vincente, l’opinione di chi grida più forte o parla per ultimo... Chi «segue» rinuncia a vedere con i propri occhi, vende il cervello all’ammasso, considera un lusso avere opinioni. Ci chiama forse a queste cose l’invito di Gesù? A rinunciare alla libertà creatrice, ad ogni iniziativa personale, per camminare dietro a lui come servitori muti e docili, anche se guardano in alto e cantano con entusiasmo?

Guardiamo a quello che ha fatto lui. Egli ha seguito fedelmente la volontà del Padre suo, tanto che sul punto di morte ha gridato: «Tutto è compiuto!». Ma questa volontà faceva di lui un uomo libero. Egli ha proclamato al mondo una parola nuova, creatrice, quella appunto che aveva ascoltato dal Padre suo. Se egli chiama dei discepoli a seguirlo è soltanto per dire loro: «Come il Padre ha mandato me così io mando voi». Il seguire Gesù e l’essere mandato è uno stesso movimento. Proprio perché gli apostoli hanno seguito Gesù, sono stati inviati in tutto il mondo. Legati a lui, liberi da qualunque legame con le tradizioni e con qualunque potenza di questo mondo, essi hanno creato delle comunità nuove, fatte di uomini liberi e fratelli. Seguire vuoi dire, dunque, andare avanti, creare. Non da soli, ma insieme con lui, e rimanendo in comunione con tutti coloro che lo seguono e sono legati a lui da questo legame unico e molteplice che è stato creato dalla sua chiamata. Chi si siede o si adagia nelle proprie abitudini, chi si integra in un sistema perfetto, dove tutto è previsto e predeterminato..., questi non segue più, perché non ascolta più la voce di Gesù che lo precede nel cammino e lo invita a lasciare le false sicurezze per una ricerca sempre rinnovata. Il Signore ci chiama ogni giorno e la nostra risposta deve essere sempre nuova.



La perfetta armonia frutto della concordia

Dalla «Lettera agli Efesini» di sant'Ignazio di Antiochia, vescovo e martire

(Capp. 2, 2 - 5, 2; Funk 1, 175-177)
E' vostro dovere rendere gloria in tutto a Gesù Cristo, che vi ha glorificati; così uniti in un'unica obbedienza, sottomessi al vescovo e al collegio dei presbiteri, conseguirete una perfetta santità.
Non vi do ordini, come se fossi un personaggio importante. Sono incatenato per il suo nome, ma non sono ancora perfetto in Gesù Cristo. Appena ora incomincio ad essere un suo discepolo e parlo a voi come a miei condiscepoli. Avevo proprio bisogno di essere preparato alla lotta da voi, dalla vostra fede, dalle vostre esortazioni, dalla vostra pazienza e mansuetudine. Ma, poiché la carità non mi permette di tacere con voi, vi ho prevenuti esortandovi a camminare insieme secondo la volontà di Dio. Gesù Cristo, nostra vita inseparabile, opera secondo la volontà del Padre, come i vescovi, costituiti in tutti i luoghi, sino ai confini della terra, agiscono secondo la volontà di Gesù Cristo.
Perciò procurate di operare in perfetta armonia con il volere del vostro vescovo, come già fate. Infatti il vostro venerabile collegio dei presbiteri, degno di Dio, è così armonicamente unito al vescovo, come le corde alla cetra. In tal modo nell'accordo dei vostri sentimenti e nella perfetta armonia del vostro amore fraterno, s'innalzerà un concerto di lodi a Gesù Cristo. Ciascuno di voi si studi di far coro. Nell'armonia della concordia e all'unisono con il tono di Dio per mezzo di Gesù Cristo, ad una voce inneggiate al Padre, ed egli vi ascolterà e vi riconoscerà, dalle vostre buone opere, membra del Figlio suo. Rimanete in un'unità irreprensibile, per essere sempre partecipi di Dio. Se io in poco tempo ho contratto con il vostro vescovo una così intima familiarità, che non è umana, ma spirituale, quanto più dovrò stimare felici voi che siete a lui strettamente congiunti come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre nell'armonia di una totale unità! Nessuno s'inganni: chi non è all'interno del santuario, resta privo del pane di Dio. E se la preghiera fatta da due persone insieme ha tanta efficacia, quanto più non ne avrà quella del vescovo e di tutta la Chiesa?

venerdì 16 gennaio 2009

Dalla «Vita di sant'Antonio» scritta da sant'Atanasio vescovo

La vocazione di sant'Antonio

Dopo la morte dei genitori, lasciato solo con la sorella ancor molto piccola, Antonio, all'età di diciotto o vent'anni, si prese cura della casa e della sorella. Non erano ancora trascorsi sei mesi dalla morte dei genitori, quando un giorno, mentre si recava, com'era sua abitudine, alla celebrazione eucaristica, andava riflettendo sulla ragione che aveva indotto gli apostoli a seguire il Salvatore, dopo aver abbandonato ogni cosa. Richiamava alla mente quegli uomini, di cui si parla negli Atti degli Apostoli che, venduti i loro beni, ne portarono il ricavato ai piedi degli apostoli, perché venissero distribuiti ai poveri. Pensava inoltre quali e quanti erano i beni che essi speravano di conseguire in cielo.
Meditando su queste cose entrò in chiesa, proprio mentre si leggeva il vangelo e sentì che il Signore aveva detto a quel ricco: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi e avrai un tesoro nei cieli» (Mt 19, 21).
Allora Antonio, come se il racconto della vita dei santi gli fosse stato presentato dalla Provvidenza e quelle parole fossero state lette proprio per lui, uscì subito dalla chiesa, diede in dono agli abitanti del paese le proprietà che aveva ereditato dalla sua famiglia — possedeva infatti trecento campi molto fertili e ameni — perché non fossero motivo di affanno per sé e per la sorella. Vendette anche tutti i beni mobili e distribuì ai poveri la forte somma di denaro ricavata, riservandone solo una piccola parte per la sorella.
Partecipando un'altra volta all'assemblea liturgica, sentì le parole che il Signore dice nel vangelo: «Non vi angustiate per il domani» (Mt 6, 34). Non potendo resistere più a lungo, uscì di nuovo e donò anche ciò che gli era ancora rimasto. Affidò la sorella alle vergini consacrate a Dio e poi egli stesso si dedicò nei pressi della sua casa alla vita ascetica, e cominciò a condurre con fortezza una vita aspra, senza nulla concedere a se stesso.
Egli lavorava con le proprie mani: infatti aveva sentito proclamare: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi» (2 Ts 3, 10). Con una parte del denaro guadagnato comperava il pane per sé, mentre il resto lo donava ai poveri.
Trascorreva molto tempo in preghiera, poiché aveva imparato che bisognava ritirarsi e pregare continuamente (cfr. 1 Ts 5, 17). Era così attento alla lettura, che non gli sfuggiva nulla di quanto era scritto, ma conservava nell'animo ogni cosa al punto che la memoria finì per sostituire i libri. Tutti gli abitanti del paese e gli uomini giusti, della cui bontà si valeva, scorgendo un tale uomo lo chiamavano amico di Dio e alcuni lo amavano come un figlio, altri come un fratello.

domenica 11 gennaio 2009

BATTESIMO DI GESU'


Il Padre manifesta la missione del Figlio

Sulle rive del Giordano, Giovanni Battista predica la conversione dai peccati per accogliere il regno di Dio che è vicino. Gesù scende con la folla nell’acqua per farsi battezzare. Il battesimo per i Giudei era un rito penitenziale, perciò vi si accostavano riconoscendo i propri peccati. Ma il battesimo che Gesù riceve non è solo un battesimo di penitenza: la manifestazione del Padre e la discesa dello Spirito Santo gli danno un significato preciso. Gesù è proclamato «figlio diletto» e su di lui si posa lo Spirito che lo investe della missione di profeta (annuncio del messaggio della salvezza), sacerdote (l’unico sacrificio accetto al Padre), re (messia atteso come salvatore) (cf prefazio).

Il battesimo di Cristo è il «nostro battesimo»
La redazione degli evangelisti tende a presentare il battesimo di Gesù come il battesimo del «nuovo popolo di Dio», il battesimo della Chiesa. Nel libro dell’Esodo, Israele è il figlio primogenito che viene liberato dall’Egitto per servire a Dio e offrirgli il sacrificio (Es 4,22); è il popolo che passa tra la muraglia d’acqua del Mar Rosso e nel sentiero asciutto attraverso il fiume Giordano. Cristo è il «figlio diletto» che offre l’unico sacrificio accetto al Padre; Cristo che «esce dall’acqua» è il nuovo popolo che viene definitivamente liberato: lo Spirito non solo scende su Cristo, ma rimane su di lui «perché gli uomini riconoscessero in lui il Messia, inviato a portare ai poveri il lieto annunzio» (prefazio). Lo Spirito che non aveva più dimora permanente fra gli uomini (Gn 6,3) ora rimane sempre, per Cristo, nella Chiesa.
La missione di Cristo è prefigurata in quella del Servo sofferente di Isaia. Il «Servo di Iahvè» è colui che porta su di se i peccati del popolo. In Cristo che si sottopone ad un atto pubblico di penitenza, vediamo la solidarietà del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo con la nostra storia. Gesù non prende le distanze da un’umanità peccatrice: al contrario, vi si immedesima per meglio «manifestare il mistero del nuovo lavacro» (pref.) e i conseguenti impegni di azione apostolica che ne derivano per il discepolo.

Alla riscoperta del proprio battesimo
Nati e vissuti nella fede della Chiesa, i cristiani hanno bisogno di riscoprire la grandezza e le esigenze della vocazione battesimale. E’ paradossale che il battesimo, il quale fa dell’uomo un membro vivo del Corpo di Cristo, non abbia molto posto nella coscienza esplicita del cristiano e che la maggior parte dei fedeli non sentano l’ingresso nella Chiesa attraverso l’iniziazione battesimale come il momento decisivo della loro vita.
Il battesimo dato a noi nel nome di Cristo è manifestazione del preveniente amore del Padre, partecipazione al mistero pasquale del Figlio, comunicazione di una nuova vita nello Spirito; esso ci pone dunque in comunione con Dio, ci integra nella sua Famiglia; è un passaggio dalla solidarietà nel peccato alla solidarietà nell’amore. Una nuova sensibilità per il battesimo è stata suscitata nella Chiesa dallo Spirito: oggi più che mai, nelle comunità cristiane, si presenta la vita cristiana come «vivere il proprio battesimo»; e maggiormente si manifesta negli adulti il bisogno di ripercorrere le tappe del proprio battesimo attraverso un «cammino catecumenale» fatto di profonda vita di fede vissuta comunitariamente, legata ad una seria conoscenza della Scrittura.

Il battesimo di nostro figlio
E’ un problema assai dibattuto non tanto per il valore e l’efficacia del battesimo dato al bambino quanto per la sua opportunità nella società attuale. Siamo entrati in un’epoca caratterizzata dal pluralismo e dai valori della fraternità e responsabilità personale. La famiglia non ha più l’influsso determinante di una volta; i genitori non sono in grado di fare opzioni definitive per i loro figli; e la rapida trasformazione della società rende ancor più difficile l’educazione della fede. Ancor peggio, le statistiche e l’esperienza dicono che una grande quantità dei bambini battezzati non vengono poi di fatto sufficientemente istruiti ed educati nella fede cristiana. I motivi che portano certi genitori a chiedere il battesimo dei loro figli possono essere la convenienza sociale, la tradizione familiare e le paure di natura superstiziosa.
La soluzione al problema non è facile e le sperimentazioni in corso possono dar origine a disagio, meraviglia, rifiuto. Occorre inserire il problema nel quadro di una «pastorale d’insieme» che tenda al rinnovamento della catechesi battesimale e che accompagni il cammino catecumenale dell’intera famiglia del battezzando. Ciò che conta non è fissare la data del battesimo, ma percorrere un cammino di fede.


Il battesimo di Gesù

Dai «Discorsi» di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
(Disc. 39 per il Battesimo del Signore, 14-16. 20; PG 36, 350-351. 354. 358-359)
Cristo nel Battesimo si fa luce, entriamo anche noi nel suo splendore; Cristo riceve il battesimo, inabissiamoci con lui per poter con lui salire alla gloria.
Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell'acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. E poiché era spirito e carne santifica nello Spirito e nell'acqua.
Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste.
«Sono io che devo ricevere da te il battesimo» (cfr. Mt 3, 14), così dice la lucerna al sole, la voce alla Parola, l'amico allo Sposo, colui che è il più grande tra i nati di donna a colui che è il primogenito di ogni creatura, colui che nel ventre della madre sussultò di gioia a colui che, ancora nascosto nel grembo materno, ricevette la sua adorazione, colui che percorreva e che avrebbe ancora precorso, a colui che era già apparso e sarebbe nuovamente apparso a suo tempo.
«Io devo ricevere il battesimo da te» e, aggiungi pure, «in nome tuo». Sapeva infatti che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio o che, come Pietro, sarebbe stato lavato non solo ai piedi.
Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto tutto intero il cosmo. Vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati come il paradiso lo era per la spada fiammeggiante.
E lo Spirito testimonia la divinità del Cristo: si presenta simbolicamente sopra Colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità
dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza.
Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche il corpo divinizzato e quindi Dio. Non va dimenticato che molto tempo prima era stata pure una colomba quella che aveva annunziato la fine del diluvio.
Onoriamo dunque in questo giorno il battesimo di Cristo, e celebriamo come è giusto questa festa.
Purificatevi totalmente e progredite in questa purezza. Dio di nessuna cosa tanto si rallegra, come della conversione e della salvezza dell'uomo. Per l'uomo, infatti, sono state pronunziate tutte le parole divine e per lui sono stati compiuti i misteri della rivelazione.
Tutto è stato fatto perché voi diveniate come altrettanti soli cioè forza vitale per gli altri uomini. Siate luci perfette dinanzi a quella luce immensa. Sarete inondati del suo splendore soprannaturale. Giungerà a voi, limpidissima e diretta, la luce della Trinità, della quale finora non avete ricevuto che un solo raggio, proveniente dal Dio unico, attraverso Cristo Gesù nostro Signore, al quale vadano gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

sabato 10 gennaio 2009

NOVENA IN ONORE DI GESU' VERO RE


La Novena consiste nel pregare per 9 giorni consecutivi UN PADRE NOSTRO, UN’AVE MARIA, ED UN GLORIA con la seguente preghiera:
O Signore, Dio nostro, Tu solo sei il Santissimo Re e Governatore di tutte le Nazioni.
Ti preghiamo Signore, con la grande speranza di ricevere da Te, o Divino Re, misericordia, pace, giustizia ed ogni bontà. Proteggi, o Signore nostro Re, le nostre famiglie e la terra in cui siamo nati. Difendici, ti preghiamo, Tu che sei il Fedelissimo! Proteggici dai nostri nemici e dal Tuo giusto Giudizio. Perdona, o Re Sovrano, i nostri peccati contro di Te. Gesù, Tu sei un Re di Misericordia. Abbiamo meritato il Tuo Giusto Giudizio. Abbi misericordia di noi, Signore, e perdonaci. Confidiamo nella Tua Grande Misericordia. O Re, che più di tutti ci ispiri profondo timore, ci inchiniamo davanti a Te e preghiamo:
Che il Tuo Regno sia riconosciuto sulla terra!
Amen.

Dice Gesù: “ Prometto che ogni qualvolta reciterete le preghiere di questa Novena convertirò 10 peccatori, porterò 10 anime sull’Unica vera Fede, libererò 10 anime dal Purgatorio, molte delle quali sono anime sacerdotali, e sarò meno severo nel Mio Giudizio sulla vostra Nazione.

martedì 6 gennaio 2009

EPIFANIA DEL SIGNORE


Nella Chiesa Cristo si rivela a i popoli

Uno degli elementi più significativi che ha caratterizzato gli interventi del Concilio Vaticano II è indubbiamente il richiamo alla fondamentale unità della famiglia umana (cf ad es. GS, cap. II).

Verso quale universalismo?
«La presente generazione... ha visto crollare o restringersi gli ostacoli e le distanze che separano uomini e nazioni, grazie ad un accresciuto senso universalistico, ad una più chiara coscienza dell’unità del genere umano e all’accettazione della reciproca dipendenza in un’autentica solidarietà e grazie, infine, al desiderio — e alla possibilità — di venire a contatto con i propri fratelli e sorelle al di là delle divisioni artificialmente create dalla geografia o dalle frontiere nazionali o razziali» (Dives in misericordia, n. 10).

Alle soglie del terzo millennio, l’umanità si adopera per un universalismo culturale, ideologico, tecnologico... mai raggiunto finora. Ma quali mezzi ha a sua disposizione per raggiungere questo sogno? Si sperimentano molti metodi che hanno una parte più o meno grande di verità e di efficacia, ma che sollevano non pochi problemi. Si deve ricorrere alla forza? Ma l’esperienza di grandi imperi basati sulla violenza ci mette in guardia contro di essa. Occorre affidarsi alla coscienza universale del lavoro e della tecnica? Ma i principi di diritto, di cultura, ecc. su cui ci si fonda per realizzare l’unificazione del mondo, sono veramente i più profondi? Non trascurano deliberatamente un elemento irriducibile, cioè la persona? E il cristiano? Non ha la sua parola da dire? Il primo uomo che ha creduto nell’universalismo è secondo la Scrittura, Abramo, il padre delle nazioni. Dio gli promise che queste un giorno sarebbero state riunite nella sua discendenza, e il patriarca gli credette; fu il primo atto di fede fatto da un uomo.

Cammineranno i popoli alla tua luce
Ad Israele fu affidata la missione di riunire tutti i popoli nella discendenza di Abramo per realizzare così la promessa dell’universalismo. Israele credette di formare questa unità con l’attuazione di un certo numero di pratiche particolari: la legge, il sabato, la circoncisione... Al contrario, solo la fede di Abramo sarebbe stata capace di dare unità a tutti i popoli.

L’annuncio di un nuovo popolo di Dio, a dimensioni universali, prefigurato e preparato nel popolo eletto, si realizza in Gesù Cristo nel quale converge e si ricapitola tutto il piano di Dio (Ef 1,9-10). In lui tutto ciò che era diviso ritrova l’unità (seconda lettura).
La venuta dei Magi dall’Oriente segna l’inizio dell’unità della grande famiglia umana, che sarà realizzata perfettamente quando la fede in Gesù Cristo farà cadere le barriere esistenti fra gli uomini, e nell’unità della fede tutti si sentiranno figli di Dio, ugualmente redenti e fratelli tra loro (vangelo).
Questo nuovo popolo è la Chiesa, comunità dei credenti; attraverso i secoli essa realizza e testimonia la chiamata universale di tutti gli uomini alla salvezza per l’opera unificatrice di Cristo. E’ significativa la visione finale del Nuovo Testamento (Ap 7,4-12; 15, 3-4; 21,24-26): una moltitudine di razze, di popoli e di lingue, che salutano in Dio il re delle nazioni, e che abiteranno nella nuova Gerusalemme, dove l’umanità ritroverà la propria e definitiva unità.

C’è sempre una stella in cielo
Facilmente ogni discorso sull’ «unità», in qualsiasi campo, rischia di essere frainteso. Spesso si pretende per unità una piatta uniformità: l’annullamento di ogni differenza individuale, un totale livellamento. Si inaugura così un sistema di facili etichette e di facili ostracismi. Chi non si adegua alla media viene bollato come estremista o come reazionario o come eretico. Eppure la diversità e la varietà dei caratteri delle nazioni sono la ricchezza dell’umanità. Anche il fatto che la Chiesa sia una ed universale non esclude che nel suo ambito possano coesistere «diversi modi» di vivere l’unica fede. Per troppo tempo la Chiesa è stata legata al mondo culturale occidentale e all’uomo bianco per calare il cristianesimo in stampi e categorie mentali tipicamente europei, ma la Chiesa di Cristo non può essere bianca o nera o gialla come non può essere proletaria o borghese o capitalista: le sue porte sono aperte a tutti. Il cristiano non può rifiutare aprioristicamente la novità o l’originalità per se stesse; deve prima verificare se esse non siano magari una nuova dimensione della fede nell’Unico Cristo. Molte esperienze attuali, che qualche volta scandalizzano i tutori dell’uniformità (non dell’unità), sono il segno del rigoglio della vita della Chiesa. Cristo ci dà la misura di ogni cosa: Ama Dio con tutto il tuo cuore, amatevi come io vi ho amato (cf Mc 12,30; Gv 13,34). Questa è la stella da seguire, per giungere al nostro autentico e unico centro di unità: «il mistero di cui (il Padre) ci ha fatti partecipi» (orazione dopo la comunione).


Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza

Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 3 per l'Epifania, 1-3. 5; Pl 54, 240-244)
La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell'universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque in Israele sia grande il suo nome (cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l'inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l'Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E' lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L'aveva annunziato Isaia: Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: Popoli che non ti conoscono ti invocheremo, e popoli che ti ignorano accorreranno a te (cfr. Is 55, 5).
«Abramo vide questo giorno e gioì » (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).
Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l'un l'altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.

domenica 4 gennaio 2009

Gesù Cristo Volto Visibile di Dio Padre

«Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e ho ricoperto come nube la terra... Prima dei secoli, fin dai principio, egli mi creò... ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso...». La prima lettura di questa domenica costituisce uno dei grandi elogi della Sapienza divina: essa si identifica da una parte con la Parola di Dio personificata, dall’altra con lo Spirito divino che si librava sulle acque primordiali. Il prologo di Giovanni ha un andamento molto simile: Gesù è chiamato la Parola, il Verbo, in quanto rivelazione definitiva del Padre. E la Parola, per Giovanni, evoca precisamente il ricordo della Parola divina dell’Antico Testamento, Parola che trova la sua perfezione in Gesù: egli è la Parola di Dio fattasi carne per la vita del mondo.
La seconda lettura è costituita dall’inno con cui Paolo inizia la lettera ai cristiani di Efeso. Dio ci ha predestinati ad essere suoi figli per opera di Gesù. Dobbiamo chiedergli «uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui».
Ci troviamo di fronte ad un grande trittico scritturistico: con toni solenni celebriamo l’intervento di Dio Padre nella storia degli uomini nella persona annunciata nell’Antico Testamento; il Verbo è la Parola di Dio che si è fatta carne e ha piantato la sua tenda fra noi; in lui Dio «ci ha benedetti con ogni benedizione...».

Si è incarnata la Parola
Gesù è la Parola di Dio: non può essere una parola che non ha senso. Egli è tutto parola e parola di tutto. Dio aveva rivelato il suo eterno potere per mezzo della creazione, aveva inviato i suoi profeti, i suoi messaggeri, ma nonostante ciò era rimasto pieno di mistero, imperscrutabile, invisibile, celato dietro i principati e le potenze, dietro le tribolazioni e le ansietà. Ad un certo punto Dio si è rivelato; ha parlato distintamente e chiaramente. Ciò è avvenuto in Gesù di Nazaret. Gesù è la Parola che ha rotto il relativo silenzio di Dio. Il contenuto di questa Parola è Dio stesso. Un Dio diverso da come lo pensavano gli uomini: è un Dio Trinità d’amore, è un Padre misericordioso che ama l’uomo e lo vuole salvo. Gesù «a tutti i credenti indica la via della verità» (oraz. sopra le offerte), ed è venuto per rivelarci quel Dio che l’uomo di ogni tempo attende e invoca: «...luce dei credenti... rivélati a tutti i popoli nello splendore della tua verità» (colletta).

Dio non serve più?
Per molti oggi questa «Parola» cade nel vuoto. Dio non fa più parte delle nostre abitudini. Oggi la sua esistenza è messa in discussione. L’ateismo non è più soltanto il problema di pochi: esso investe un numero sempre maggiore di uomini, tanto da diventare un fenomeno di civiltà. «Dio non serve a niente», è l’obiezione più facile. In effetti Dio non esiste per «servire» a qualche cosa, come molti ancora pensano; Dio non è il medico dei casi disperati, né un’agenzia di assicurazioni su pegni di giaculatorie o pellegrinaggi, né un alibi per spiegare quello che l’uomo non capisce o ancora non riesce a fare.
Il Dio di Gesù Cristo non è una specie di tiranno, benevolo o irritato, secondo i casi, che interviene arbitrariamente nel corso degli avvenimenti per arrestarne alcuni o modificarne altri. Credere in un Dio così, è sedere nell’anticamera dell’ateismo.

Abbiamo bisogno di Dio
Non è semplice fare un’analisi del complesso problema dell’irreligiosità moderna poiché non si presenta come un tutto omogeneo e anche le sue radici affondano spesso nell’inafferrabilità della coscienza individuale. Non sono pochi coloro che danno la responsabilità di tutto questo a larghe sfere della cristianità stessa che con atteggiamenti sbagliati e con un certo assenteismo ne avrebbero favorito il dilagare. Alla base del fenomeno dell’ateismo e dello scetticismo religioso attuali c’è spesso l’ignoranza dell’autentico messaggio cristiano. Per questo la Chiesa ha teso la mano agli atei per un incontro leale ed un dialogo sincero.
Ci si dimentica che l’uomo in tutto il suo essere spirituale, cioè nelle sue supreme facoltà di conoscere e di amare, è correlativo a Dio, è fatto per Lui; e ogni conquista dello spirito umano accresce in lui l’inquietudine, e accende il desiderio di andare oltre, di arrivare all’oceano dell’essere e della vita, alla piena verità che sola dà la beatitudine. Togliere Dio come termine della ricerca, a cui l’uomo è per natura sua rivolto, significa mortificare l’uomo stesso. La così detta «morte di Dio» si risolve nella morte dell’uomo. E allora un primo dovere ci coglie: quello di godere della conoscenza di Dio; e un secondo: quello di cercarlo; di cercarlo appassionatamente, dove, come e quando egli si lascia incontrare.


Il Signore vivifica il suo Corpo nello Spirito

Dal trattato «Sullo Spirito Santo» di san Basilio, vescovo
(Cap. 26, 61. 64; PG 32, 179-182. 186)
Colui che ormai non vive più secondo la carne ma è guidato dallo Spirito di Dio, poiché prende il nome di figlio di Dio e diviene conforme all'immagine del Figlio unigenito, viene detto spirituale.
Come in un occhio sano vi è la capacità di vedere, così nell'anima che ha questa purezza vi è la forza operante dello Spirito. Come il pensiero della nostra mente ora resta inespresso nell'intimo del cuore, ora invece si esprime con la parola, così lo Spirito Santo ora attesta nell'intimo al nostro spirito e grida nei nostri cuori: «Abbà, Padre» (Gal 4, 6), ora invece parla per noi, come dice la Scrittura: Non siete voi che parlate, ma parla in voi lo Spirito del Padre (cfr. Mt 10, 20). Inoltre lo Spirito distribuendo a tutti i suoi carismi è il Tutto che si trova in tutte le parti. Tutti infatti siamo membra gli uni degli altri, e abbiamo doni diversi secondo la grazia di Dio comunicata a noi. Per questo «non può l'occhio dire alla mano: Non ho bisogno di te; né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi» (1 Cor 12, 21). Tutte le membra insieme completano il corpo di Cristo nell'unità dello Spirito e secondo i carismi si rendono, come è necessario, utili le une alle altre. Dio infatti ha disposto le membra nel corpo, ciascuna di esse secondo il suo volere. Le parti dunque sono piene di sollecitudine vicendevole, secondo la spirituale comunione dell'amore. Perciò «se un membro soffre, tutte le altre membra soffrono insieme; e, se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui» (1 Cor 12, 26). E come le parti sono nel tutto, così noi siamo ognuno nello Spirito, poiché tutti in un solo corpo siamo stati battezzati nell'unico Spirito.
Come il Padre si rende visibile nel Figlio, così il Figlio si rende presente nello Spirito. Perciò l'adorazione nello Spirito indica un'attività del nostro animo, svolta in piena luce. Lo si apprende dalle parole dette alla Samaritana. Essa infatti, secondo la concezione errata del suo popolo, pensava che si dovesse adorare in un luogo particolare, ma il Signore, facendole mutare idea, le disse: Bisogna adorare nello Spirito e nella Verità (cfr. Gv 4, 23), chiaramente definendo se stesso «la Verità».
Dunque nel modo come intendiamo adorazione nel Figlio, come adorazione cioè nell'immagine di colui che è Dio e Padre, così anche dobbiamo intendere adorazione nello Spirito, come adorazione a colui che esprime in se stesso la divina essenza del Signore Dio.
Giustamente, dunque, nello Spirito che ci illumina noi vediamo lo splendore della gloria di Dio. Per mezzo dell'impronta risaliamo al sigillo e a colui al quale appartiene l'impronta e il sigillo e al quale l'una e l'altra cosa sono perfettamente uguali.

venerdì 2 gennaio 2009

Dagli Atti degli Apostoli 3, 1-16




Dio glorificò il suo Figlio Gesù.

Un giorno Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera verso le tre del pomeriggio. Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta «Bella» a chiedere l'elemosina a coloro che entravano nel tempio. Questi, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, domandò loro l'elemosina.
Allora Pietro fissò lo sguardo su di lui insieme a Giovanni e disse: «Guarda verso di noi». Ed egli si volse verso di loro, aspettandosi di ricevere qualche cosa. Ma Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!». E, presolo per la mano destra, lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere l'elemosina alla porta Bella del tempio ed erano meravigliati e stupiti per quello che gli era accaduto.
Mentr'egli si teneva accanto a Pietro e Giovanni, tutto il popolo fuor di sé per lo stupore accorse verso di loro al portico detto di Salomone. Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: «Uomini d'Israele, perché vi meravigliate di questo e continuate a fissarci come se per nostro potere e nostra pietà avessimo fatto camminare quest'uomo? “Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo” Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, avete chiesto che vi fosse graziato un assassino e avete ucciso l'autore della vita. Ma Dio l'ha risuscitato dai morti e di questo noi siamo testimoni. Proprio per la fede riposta in lui il nome di Gesù ha dato vigore a quest'uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a quest'uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi.

giovedì 1 gennaio 2009

MARIA SS MADRE DI DIO


Maria dà al mondo Cristo nostra pace

Nell’ottava del Natale si celebra la festa di «Maria madre di Dio». In verità, le letture bibliche mettono l’accento sul «figlio di Maria» e sul «Nome del Signore», anziché su Maria.
Infatti l’antica «benedizione sacerdotale» è scandita dal nome del Signore, ripetuto all’inizio di ogni versetto (prima lettura); il testo di san Paolo sottolinea l’opera di liberazione e di salvezza compiuta da Cristo, nella quale è incastonata la figura di Maria, grazie alla quale il Figlio di Dio ha potuto venire nel mondo come vero uomo (seconda lettura); il vangelo termina con l’imposizione del nome di Gesù, mentre Maria partecipa in silenzio al mistero di questo suo figlio nato da Dio.
Questa attenzione prevalente al «Figlio» non riduce il ruolo della Madre: Maria è totalmente Madre perché è stata in totale relazione a Cristo, perciò onorando lei è più glorificato il Figlio. Il titolo di «Madre di Dio» sottolinea la missione di Maria nella storia della salvezza: missione che sta alla base del culto e della devozione del popolo cristiano; Maria infatti non ha ricevuto il dono di Dio per sé sola, ma per portarlo nel mondo: «nella verginità feconda di Maria (tu, o Dio) hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna» (colletta).

Madre di Dio - Madre dell’uomo
Il significato etimologico del nome Gesù, «Dio salva», ci introduce in pieno nel mistero di Cristo: dall’incarnazione alla nascita, dalla circoncisione al compimento pasquale della morte-risurrezione, Gesù è in tutto il suo essere la perfetta benedizione di Dio, è dono di salvezza e di pace per tutti gli uomini; nel suo nome siamo salvati (cf At 2,21; Rm 10,13). Ora questa offerta di salvezza viene da Maria ed essa la partecipa al popolo di Dio come un tempo ai pastori. Maria che ha dato la vita al Figlio di Dio, continua a partecipare agli uomini la vita divina. Per questo viene considerata madre di ogni uomo che nasce alla vita di Dio, e insieme proclamata e invocata come «Madre della Chiesa» (cf LG 53.60-65; Paolo VI, 21.11-1964; orazione dopo la comunione).
Con gli Orientali, anche noi onoriamo «Mania sempre Vergine, solennemente proclamata santissima Madre di Dio dal Concilio di Efeso, perché Cristo... fosse riconosciuto, in senso vero e proprio, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo» (UR 15).

«Opere e giorni nella Sua Pace»
E nel nome di Maria, madre di Dio e madre degli uomini, che dal 1967 si celebra in tutto il mondo la «giornata delta pace». La pace, in senso biblico, è il dono messianico per eccellenza, è la salvezza portata da Gesù, è la nostra riconciliazione e pacificazione con Dio. La pace è anche un valore umano da realizzare sul piano sociale e politico, ma affonda le sue radici nel mistero di Cristo (cf GS, cap. V).
La fede in Cristo, «autore della salvezza e principio di unità e di pace» (LG 9), appare evidente nella parte che il cristiano prende agli sforzi della umanità per la pace del mondo. La pace di Cristo non è diversa dalla pace dell’uomo: c’è semplicemente «la pace», e vale la pena spendere la vita per la sua continua ricerca. Il Magistero della Chiesa non ha cessato di attirare l‘attenzione sulla pressante necessità di fare della pace una dimensione effettiva della umana convivenza. Esso continua a rinnovare l’annuncio di quella pace che è poggiata sulla verità, la giustizia, l’amore e la libertà, «i quattro pilastri della casa della pace» aperta a tutti (Giovanni XXIII, 11-4-1963).

Aprite i vostri occhi a visioni di pace!
«E allora il Nostro messaggio raggiunge il suo vertice: mai più gli uni contro gli altri! Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno» (Paolo VI, Discorso all’ONU, 4-10-1965).
«Di fronte at difficile compito della pace, non bastano le parole... E’ necessario che penetri il vero spirito di pace... Genitori ed educatori, aiutate i fanciulli e i giovani a fare l’esperienza della pace nelle mille azioni quotidiane... Giovani, siate dei costruttori di pace! ... Uomini impegnati nella vita professionale e sociale, spesso difficile per voi realizzare la pace. Non c’è pace senza giustizia e senza libertà, senza un coraggioso impegno per promuovere l’una e l’altra... Uomini politici, aprite nuove porte alla pace! Fate tutto ciò che è in vostro potere per far prevalere la voce del dialogo su quella della forza... Fate gesti di pace, anche audaci... poi tessete pazientemente la trama politica, economica e culturale della pace... Il lavoro per la pace, ispirato dalla carità che non tramonta, produrrà i suoi frutti. La pace sarà l’ultima parola della Storia» (Giovanni Paolo II, 21-12-1978).


Il Verbo ha assunto da Maria la natura umana

Dalle «Lettere» di sant'Atanasio, vescovo (Ad Epitetto 5-9; PG 26,1058. 1062-1066)
Il Verbo di Dio, come dice l'Apostolo, «della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli» (Eb 2, 16. 17) e prendere un corpo simile al nostro. Per questo Maria ebbe la sua esistenza nel mondo, perché da lei Cristo prendesse questo corpo e lo offrisse, in quanto suo, per noi.
Perciò la Scrittura quando parla della nascita del Cristo dice: «Lo avvolse in fasce» (Lc 2, 7). Per questo fu detto beato il seno da cui prese il latte. Quando la madre diede alla luce il Salvatore, egli fu offerto in sacrificio.
Gabriele aveva dato l'annunzio a Maria con cautela e delicatezza. Però non le disse semplicemente colui che nascerà in te, perché non si pensasse a un corpo estraneo a lei, ma; da te (cfr. Lc 1, 35), perché si sapesse che colui che ella dava al mondo aveva origine proprio da lei.
Il Verbo, assunto in sé ciò che era nostro, lo offrì in sacrificio e lo distrusse con la morte. Poi rivestì noi della sua condizione, secondo quanto dice l'Apostolo: Bisogna che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e che questo corpo mortale si vesta di immortalità (cfr. 1 Cor 15, 53).
Tuttavia ciò non è certo un mito, come alcuni vanno dicendo. Lungi da noi un tale pensiero. Il nostro Salvatore fu veramente uomo e da ciò venne la salvezza di tutta l'umanità. In nessuna maniera la nostra salvezza si può dire fittizia. Egli salvò tutto l'uomo, corpo e anima. La salvezza si è realizzata nello stesso Verbo.
Veramente umana era la natura che nacque da Maria, secondo le Scritture, e reale, cioè umano, era il corpo del Signore; vero, perché del tutto
identico al nostro; infatti Maria è nostra è sorella poiché tutti abbiamo origine in Adamo.
Ciò che leggiamo in Giovanni «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14), ha dunque questo significato, poiché si interpreta come altre parole simili.
Sta scritto infatti in Paolo: Cristo per noi divenne lui stesso maledizione (cfr. Gal 3, 13). L'uomo in questa intima unione del Verbo ricevette una ricchezza enorme: dalla condizione di mortalità divenne immortale; mentre era legato alla vita fisica, divenne partecipe dello Spirito; anche se fatto di terra, è entrato nel regno del cielo.
Benché il Verbo abbia preso un corpo mortale da Maria, la Trinità è rimasta in se stessa qual era, senza sorta di aggiunte o sottrazioni. E' rimasta
assoluta perfezione: Trinità e unica divinità. E così nella Chiesa si proclama un solo Dio nel Padre e nel Verbo.

INNO ALLO SPIRITO SANTO O Spirito Creatore, vieni, le menti visita: di grazia colma l'anima di chi creasti provvido. Consolatore ottimo, dono del Dio altissimo, sorgente, fuoco, carità, consacrazione intima. O Donatore benefico di sette doni mistici sul labbro degli Apostoli le lingue tu moltiplichi. I nostri sensi illumina, d'amore i cuori penetra,rafforza i corpi deboli col tuo potente impeto. Le forze ostili dissipa, dona la pace all'anima, con Te per guida, o Spirito, scampiamo dal pericolo. A noi rivela, o Spirito, il Padre e l'Unigenito, uniti a Te nell'intimo d'amore inestinguibile. Sia gloria al Padre altissimo, al Vincitor degli inferi, all'increato Spirito negl'infiniti secoli. Amen. V. - Manda il tuo Spirito e sarà una nuova creazione. R. - E rinnoverai la faccia della terra. Preghiamo: O Dio, che hai istruito i tuoi fedeli, illuminando i loro cuori con la luce dello Spirito Santo, concedi a noi di avere nello stesso Spirito il gusto del bene e di godere sempre del suo conforto. Per Cristo nostro Signore. Amen. Gloria, adorazione, benedizione, amore a Te, Eterno Divino Spirito, che ci hai portato sulla terra il Salvatore delle anime nostre. E gloria e onore al Suo adorabilissimo Cuore, che ci ama di infinito amore! O Spirito Santo, Anima dell'anima mia, io Ti adoro: illuminami, guidami, fortificami, consolami, insegnami ciò che devo fare, dammi i tuoi ordini. Ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che desideri da me e di accettare tutto ciò che permetterai mi accada: fammi solo conoscere la Tua volontà. SEGUENZA ALLO SPIRITO SANTO Vieni, Santo Spirito manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto; ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. 0 luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza nulla è nell'uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli che solo in te confidano i tuoi santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.

Informazioni personali

La mia foto
ALLELUIA!!!! MI CHIAMO GAETANO, HO 25 ANNI E SONO SICILIANO (PROV SR). FACCIO PARTE DEL PASTORALE DI SERVIZIO DEL MOVIMENTO DELL'ASSOCIAZIONE RINNOVAMENTO NELLO SPIRITO SANTO DELLA MIA PARROCCHIA. NEL MONDO E NELLA CHIESA SIAMO CHIAMATI AD ESSERE PER LE ALTRE PERSONE, LA LUCE DEL MONDO, ATTRAVERSO LA PAROLA DI GESU' E LA NOSTRA TESTIMONIANZA.